domenica 9 giugno 2013

Malghe alvari ed orsi.

Una delle poche certezze, qui a Trento, in punto di formaggi - probabilmente l'avremo già detto - è la Bottega Trentina di Mr. Alvaro. Per lo meno, quando - come oggi - vogliamo assaggiare qualche cacio tipico trentino in ottima forma (e magari avere anche qualche informazione sulla sua provenienza e produzione, che raramente gli altri rivenditori sono in grado di fornirci).
Basta poi qualche manciata di agretti (e un'anima buona dientro ai fornelli) e la cena è fatta.


Il primo approccio è con il Nostrano di Piné di malga, prodotto dall'impresa agricola Maso Prener di Andrea Giovannini (Baselga di Piné).
E' un formaggio grasso, a coagulazione presamica, semi-duro (ad occhio) ed a pasta semi-cotta. Il latte è crudo ed intero e proviene dalle mucche Grigio alpine (presidio Slow Food) durante l'alpeggio a Bedollo, presso Malga Stramaiolo (che è gestita dalla stessa famiglia Giovannini).
Per ottenerlo, il latte viene riscaldato sino a 33°C, addizionato con il latte-innesto prodotto in loco e, poi, dopo circa 20 minuti, con del caglio vaccino, che nel giro di una mezz'oretta consente la coagulazione. Dopo la rottura in granuli delle dimensioni di un chicco di mais, la cagliata è semi-cotta a circa 42°C e, quindi, travasata sul tavolo spersorio; da qui, viene raccolta con teli di lino, inserita nelle fascere e pressata sotto pesi di 15 kg. Trascorse 24 ore, le forme sono poste in salamoia per circa 3 giorni e, infine, messe a maturare a 12°C di temperatura con un'umidità dell'85%, per alcuni mesi (la nostra, prodotta nel settembre 2012, ha 8-9 mesi).
Il nostro pezzo proviene da una forma cilindrica, regolare, con scalzo diritto e facce abbastanza convesse.
La crosta è liscia, dura, leggermente untuosa ed un po' ammuffita; il colore non è uniforme, paglierino intenso in alcune zone ed ocra in altre, con piccole macchie bianche.
La pasta, invece, è uniforme nel suo giallo paglierino intenso, con un sottocrosta presente e spesso (anche se non molto carico). Ha una struttura semi-dura, deformabile, piuttosto compatta e con una accenno di untuosità. L'occhiatura è piccola e media, di forma irregolare, diffusa ed uniformemente distribuita su tutta la superficie.
Unico elemento di discontinuità è rappresentato da alcune sfoglie concentrate nella fascia centrale.
Al naso è di media intensità, con profumi lattici (soprattutto di burro e panna un po' cotti) ma, soprattutto, vegetali, di erba fresca e fermentata e di sottobosco. Più o meno gli stessi profumi li ritroviamo in bocca, con aromi burrosi iniziali più accentuati e, nel finale, note di frutta secca.
Ha una dolcezza medio-elevata, una sapidità media ed una leggera acidità; forse è un po' eccessivo l'amaro, di intensità media e persistente.
La struttura al palato è nettamente "pastosa", discretamente adesiva, deformabile, di media solubilità ed con una leggera umidità; netta, poi, la presenza di cristalli di tirosina.

Si passa poi ad un Vezzena di malga - Presidio Slow Food - della s.c.a. Caseificio degli Altipiani e del Vezzena (Lavarone) risalente, addirittura, al luglio 2011 (22 mesi di stagionatura - yep!).
Si tratta di un formaggio semi-grasso, a coagulazione presamica, (ad occhio) duro ed a pasta semicotta.
Il latte è crudo e parzialmente scremato (mungitura della sera e del mattino), addizionato con latte-innesto a circa 33°C per una ventina di minuti; la coagulazione è procurata dal caglio bovino e dura 20-25 minuti, seguita dalla rottura fino alle dimensioni di un chicco di mais e, successivamente, da una lenta semi-cottura a 48°C per circa 20 minuti. Dopo una sosta nel siero di 30-40 minuti la cagliata è estratta, messa in fascera e, lì, pressata. Trascorsi circa quattro giorni, le forme vengono salate per 10 giorni e, infine, poste a stagionare a 13-17°C con umidità all'80-85%.
Stando al nostro pezzo, lo scalzo e le facce della forma appaiono perfettamente diritti. La crosta è a zone ruvida e, in altre zone, liscia; è inoltre dura e secca e - dall'odore di olio - sembrerebbe trattata. Di colore non uniforme, ocra con chiazze marroni e bianche.
La sua pasta ha un colore paglierino di media intensità, ben uniforme, con un sottocrosta presente, carico e spesso. La struttura, poi, è dura, friabile e compatta, priva di occhiature ma con qualche (rada) sfoglia.
Gli odori sono un vero calderone, da cui peschiamo latte cotto, frutta secca, glutammato, accenni di erba, note terrose e note speziate (potrebbe essere noce moscata), sentori di cuoio e di affumicato e - io però non lo avverto - odore di "olio di pesce". In bocca, inoltre, si distinguono anche aromi di pesce secco, di noce e, presso la crosta, di sottobosco.
Al palato si dimostra molto equilibrato, con dolcezza media, sapidità medio-elevata e leggera acidità, oltre ad un tenue finale amaro. Anche la sua media piccantezza e la leggera astringenza ci pare che ci stiano bene.
La sua struttura, infine, è dura, secca, rigida e granulosa.
Un cacio davvero ricco e buonissimo.

Ci beviamo sopra una Bira da l'Ors della s.r.l. Birrificio Val Rendena (Pinzolo-Giustino); l'impresa, avviata nel 2012, si dedica quasi esclusivamente alla bassa fermentazione di stile tedesco e, stando al suo sito Internet, utilizza acqua di Vadajone, luppoli Hallertau e malti anch'essi bavaresi.
L'unica Ale della loro linea è, per l'appunto, la Bira da l'Ors, che si distingue dalle altre anche sotto il profilo estetico (ben più elegante) e di prezzo (ben più consistente); degli ingredienti non sappiamo nulla ma - sembra di capire - il mastro birraio si è ispirato ad alcune "ricette locali".
Si presenta di un intenso color ambrato-arancione, con una schiuma bianca-paglierina, abbastanza fine, persistente ma non abbondante.
L'odore, di media intensità, è maltato con accenni caramellati, note erbacee di luppolo e sentori fruttati.
Di gusto è dolce (medio), acido (leggero) e con leggero finale amaro; al palato, però, ci sembra che sfugga un po' via, complici un po' la tenuità e scarsa persistenza dei sapori, un po' la scarsa effervescenza, un po' il corpo che è molto più leggero delle aspettative.
Per quanto riguarda l'abbinamento, poteva andarci meglio: la birra risulta infatti non abbastanza acida per fronteggiare la pastosità del primo formaggio e neppure abbastanza intensa per bilanciare il vecchio Vezzena. E vabbè...

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