giovedì 15 agosto 2013

Casa Barlotti.

Gironzolando per il Cilento - ma qualcunA non avrebbe dovuto redigerne la cronaca? - non potevamo certo mancare una visita alla mozzarella di bufala campana DOP di Paestum! Così, eccoci da Barlotti, caseificio tra i più grandi, peraltro ben attrezzato per l'accoglienza del pubblico (peccato che questo "attrezzarsi" in modo professionale tolga sempre un po' di genuinità, di fascino e persino di contenuti all'esperienza della visita, diversamente da quanto accade negli incontri diretti con il produttore; questo è inevitabile, è vero, e persino imprescindibile nelle aziende di grosse dimensioni, però costringe il visitatore a vestire i panni dell'"americano" in visita guidata, il che è pure un po' frustrante...).

L'azienda, comunque, comprende 300 bufale, di cui 150 in lattazione, alimentate con fieno, paglia ed insilato di mais. Gli animali sono munti due volte al giorno nell'apposita sala (l'unica fase produttiva a cui riusciamo ad assistere, a causa del nostro ritardo, è proprio la mungitura, ma ne vale proprio la pena!).


Per la lavorazione, il latte viene addizionato con siero-innesto, poi, quando la temperatura è stata innalzata a 36-38°C, viene aggiunto il caglio di capretto (prodotto in laboratorio).
Dopo la coagulazione e la rottura, la cagliata matura per 3-4 ore nel siero per l'acidificazione. Si procede quindi alla filatura manuale, con l'aggiunta di acqua bollente a 90-95°C. La formatura, invece, è meccanizzata, tranne che per le forme di peso superiore ai 500 g. La salatura, infine, è effettuata in salamoia.
Una mozzarella riusciamo anche ad ammoccarcela lì, presso il ristorante interno all'azienda.
Il pezzo ha forma sferica irregolare, con pelle color avorio, liscia, elastica ed umida, senza i segni della mozzatura manuale; anche la pasta ha un omogeneo color avorio e presenta struttura elastica, morbida, umida e sfogliata; al naso prevalgono (troppo, forse) il latte e burro freschi, mentre è più leggero il tipico odore animal-vegetale (c.d. muschiato); un po' sullo sfondo sono le note di siero ed i sentori di fieno e d'insilato (ma potrebbe trattarsi di suggestione, dato che quest'odore ci ha punto fino ad un momento prima).
In bocca domina la dolcezza medio-elevata, seguita da una media acidità e da una sapidità medio-leggera; l'elasticità media e la bassa solubilità non sono apprezzatissime ma sono tipiche del prodotto appena fatto. Nella parte interna, infine, si nota una certa secchezza rispetto al resto della pasta.

Il cacio trova peraltro buona compagnia in una bottiglia di Paestum IGT Fiano Pian di Stio 2011 della cantina San Salvatore, con sede in Stio (SA), nell'entroterra cilentano. Le uve sono coltivate a 500 metri s.l.m., sopra un terreno argilloso-calcareo, con allevamento a spalliera. La vinificazione, interamente in acciaio, prevede una macerazione a freddo per 4 ore, una fermentazione di 15 giorni ed 10 mesi di maturazione.
E' un vino dai profumi intensamente minerali, oltre che di frutta (soprattutto) secca; in bocca, pur caldo (ha pur sempre il 13% alc. vol.), è molto acido e sapido e non eccede in morbidezza: risulta vivissimo e fresco ch'è un piacere.

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